giovedì 6 marzo 2014

XCVIII - La grande bellezza (per chi vuol capirci)

Ho letto svariate opinioni su "La Grande Bellezza".

Purtroppo a me non bastano le tre righe dei social network per esprimermi, mi pare il caso di fare un'analisi un minimo più approfondita.
Partiamo da un presupposto-base, che è "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace". Su questo, tutti d'accordo? Sì? Continuiamo.

Una grande avvertenza: vi prego, non cercate Benigni in Sorrentino. Non c'è. Non è quel cinema.
Oltre a questo: sì, Sorrentino è napoletano, ok, ma nel film non ci sono le pernacchie, i babà, la pizza e la tarantella.

"La Grande Bellezza", per chi ha visto il film e ha un minimo di acume, è un titolo sarcastico, o forse no. La grande bellezza è quella della città di Roma, delle terrazze, dei monumenti meravigliosi che vengono mostrati.

La grande bellezza è anche quella passata delle dive che vengono mostrate, e che cercano di recuperare con ogni mezzo. Quella violentata nell'arte forzata della bambina prodigio.
Il sarcasmo sta nel fatto che in mezzo a tutta questa "grande bellezza" passata e decadente che lo circonda, Gambardella non riesca a scrivere proprio niente.

La bellezza diventa anzi come una specie di miseria, di povertà intellettuale, dove tutto quello che si riesce a fare è: festa. "A far l'amore comincia tu", "Mueve la colita", sono tutte canzoni fatte per non pensare, che è esattamente quello che fanno i personaggi del film.

Questa, almeno per me, è la chiave interpretativa.
Che poi vi sembri una ca**ta è perfettamente lecito. Però almeno provate a pensarci.

E andate a vedervi "Le conseguenze dell'amore" che di oscar ne meritava cinque (con tanti ringraziamenti a chi me l'aveva suggerito).