lunedì 24 febbraio 2014

XCVII - Nemmeno i pecorai

Sono reduce dal discorso di Renzi. Bello, ben fatto. Mi è piaciuto. Non è di sinistra, forse, ma sinceramente non mi importa granchè. Sono per le idee, non per le etichette.

Se fa la metà delle cose che dice, vivremo presto in un Paese civile. Per precauzione mia ci credo poco, ma perlomeno dà una speranza. Per certi versi mi pareva di sentire Papa Francesco. Uno dei commenti tecnico-rurali della cucina di casa mia è stata "come parlantina non lo frega nessuno". Lapidario ma vero.

Poi lasciamo stare che abbia preso il potere con un mezzo golpe, ma vabbè.

Ad ogni modo, il punto non è questo. E' che Grillo si è spaventato. Lui sa bene che Renzi parla meglio di lui, che l'avrebbe messo alle strette. E allora cosa ha fatto? La mossa dell'ignoranza più pura. Non l'ha fatto parlare, che è una di quelle cose che mi manda in bestia.

Posso essere d'accordo con te o meno, ma non fare parlare la gente è assolutamente una di quelle cose che non vanno fatte. Anche perchè chi non faceva parlare ha dei nomi brutti: fascisti, nazisti, stalinisti.
Da qui il titolo: nemmeno i pecorai. Con tutto il rispetto per i pecorai, che fanno dei formaggi che i politici non saprebbero mai fare.

Denota mancanza di rispetto verso le persone, e il rispetto è uno di quei valori che non vanno mai messi in discussione.

Senza voler discutere i valori del movimento 5 stelle, che sono tanti, questa volta Beppe poteva pensarla meglio...

martedì 18 febbraio 2014

XCIV - L'angolo della poesia - 5

Lavandare

"Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese."

(G.Pascoli, "Myricae")

venerdì 14 febbraio 2014

XCVI - La leggenda romagnola

Caro Marco Pantani,
su di te se ne sono dette di cotte e di crude. Cosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure, come direbbe De Gregori, dieci anni dopo la tua morte?

Del ciclismo non rimane granché, temo. Di Luca, te lo ricordi? Ha detto che nessuno può vincere senza doparsi e che lui l’ha fatto perché lo facevano tutti. Nibali gli ha risposto che ha solo bisogno di attenzione. Delegittimare dalle nostre parti è una mezza abitudine di certi personaggi poco simpatici, e lui non è nato lontano da dove sono nato io.

Quell’altro scemo di Riccò pareva un campione anche lui. Ha sbagliato una volta, dopandosi, e si è messo poi a recuperare con un noto preparatore che successivamente è morto di tumore. Questo preparatore ne aveva fatto una sorta di ragione di vita, di riportare Riccò, che talento sicuramente ne aveva, a grandi livelli. Beh, sai che è successo? Morto il preparatore, si è dopato ancora. Le cose sono due: o Riccò è seriamente imbecille o Di Luca ha ragione. Io penso la seconda. Oltre alla prima.

Si parla della tua squalifica di Madonna di Campiglio come di un giro di scommesse che avrebbe fatto fruttare milioni e milioni di euro ai soliti noti. Hanno tirato in ballo la qualunque. Io penso che sia vero. A pensar male si fa peccato…

Le tue imprese però rimangono. Sei stato un po’ come Valentino Rossi per le moto: più che lo sport in sé noi tutti seguivamo te: ho avuto la foto nella bacheca, l’ho lasciata per un po’ e poi l’ho tolta. Nonostante ridessi, c’era qualcosa di triste in te, qualche strana ombra della morte. E me la ricordo ancora la voce della giornalista di Radiouno che annunciava con la voce rotta “ho una notizia terribile, è morto Marco Pantani”, loro che sono sempre così “asciutti” nel dare le notizie.

Mi piace ricordarti così, commosso, in quella foto di copertina di quella “Gazzetta dello Sport” che ho tenuto, con Gimondi che ti alza la mano sul podio, unico italiano fino a te ad aver vinto Giro e Tour nello stesso anno.

E poi Indurain che barcolla dopo il traguardo.

E Tonkov che si pianta sui pedali.

E la sella, la tua sella, che c’era dove sono andato a comprare la bici. Emozioni di un pomeriggio di maggio, come le tue.


Grazie di tutto.  

martedì 11 febbraio 2014

XCV - Taxi e similari

Io non riesco a vedere i film tutti interi, tutti d'un fiato. Per questo la porta usb dietro la tele viene molto comoda: quando mi rompo le scatole fermo e continuo un'altra volta.

Capisco cosa potrete pensare, lettori: "ma come, e allora quando vai al cinema?"
Risposta: infatti non ci vado.

Ad ogni modo, il film del quale farò una specie di recensione è "Il tassinaro", sì, quello di Alberto Sordi.

Prima di vedere questo film io non sopportavo troppo Sordi. Mi dava l'idea del romanaccio sotuttoio. Poi ho capito che effettivamente l'anima di Roma è proprio quella, volente o nolente. E che nei film fa molto ridere.

Vi domanderete ancora: "ma allora perchè l'hai guardato?" (Quante domande, vi fate...)
Semplice. In realtà io non stavo guardando "Il tassinaro" bensì "Taxi driver", quello con De Niro. Poi mi hanno spiegato come finisce e non ci tengo granchè a vedere gente che perde dita o viene uccisa con un colpo in faccia, se posso evitare è meglio, dato che nella prima parte del film c'è uno mezzo morto che viene preso a bastonate.

Così, dato che comunque avevo cominciato un film coi taxi, ho deciso di proseguire nel filone.

"Il tassinaro" ad ogni modo non è un film come me lo aspettavo, con una trama. E' più una serie di episodi corti con uno sfondo comune: Roma.

L'aspetto che mi è piaciuto di più di questo film è sicuramente l'aderenza alla realtà. I giapponesi e le loro malefiche sveglie, visti come il nemico (ricorda niente sui cinesi?), i problemi dell'Italia, che dal 1983 ad oggi sono esattamente gli stessi. Il Nataleconituoi fatto di un quintale di roba da mangiare. Imperdibile la scena degli insulti all'americano. Piccole cose, ma che fanno la differenza.

Della trama quindi non vi dico nulla - anche perché non c'è - e mi limito a consigliarvelo. E' un bell'affresco di un'Italia che non c'è più c'è ancora, sotto vesti moderne, e tutto sommato si capisce che è sempre la stessa cosa. Cambiano gli orchestrali ma la musica è sempre quella, e per chi immaginava che il passato fosse una specie di Eden non è male.