venerdì 28 giugno 2013

LXXXIX - I panni stretti stretti di Miccoli

Non voglio essere ipocrita o fare il perfettino: io Miccoli (umanamente) lo capisco.

Capiamoci, cari lettori. Non per quello che ha detto: quello è sicuramente da condannare. Mettersi a canticchiare "il fango di Falcone" (avrà detto "fango"? Mi pare strano...) insieme al figlio di un boss mafioso che è diventato improvvisamente suo amico non è un gesto esattamente elegante. Anzi, direi che è proprio una gran carognata, e ci sto andando parecchio leggero.

Però se lavori o vivi al sud, o entrambe le cose, inevitabilmente devi fare i conti con la criminalità, c'è poco da fare. A Miccoli è anche andata bene che non gli abbiano chiesto il pizzo sullo stipendio, come sicuramente faranno ad altra gente, e come fanno a praticamente tutti i negozianti. Lo striscione sul 41 bis è apparso allo stadio di Palermo (vedere qui), quindi non è un mistero che non ci ronzi intorno bella gente.

Quindi sì, io Miccoli almeno umanamente lo capisco. Non poteva fare diversamente, con una famiglia che era stata già rapinata una volta. Forse nemmeno lo voleva, penso io. Tamarro com'è, fingersi mafioso anche solo per un annetto o due - specie se sei nella squadra che Messina Denaro va a vedere - può farti diventare enormemente figo.


Ci sono sempre due piani, in questi casi. Uno è la ribellione, il solo contro tutti, l'isolato dal resto, quello che muore velocemente, con un colpo di pistola. E poi quelli che ti hanno isolato, al tuo funerale piangono.

L'altro è la connivenza, il far finta di nulla e morire lentamente, giorno dopo giorno.

Non è facile, non è facile per niente, e in entrambi i casi sei comunque fregato: nel primo caso dagli altri, nel secondo dalla tua coscienza, ammesso che tu ne abbia una. 

Il problema dei pesci è che non sanno che se saltassero tutti insieme la rete si romperebbe e loro sarebbero liberi.
Però i pesci saltano ognuno in maniera diversa, e la rete tiene.

Questo, forse, è il succo della "questione meridionale".

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