mercoledì 28 novembre 2012

VIII - L'irritazione al selvaggio e il concetto di "libertà"

Ieri sera mi sono messo a guardare "Into the wild". Non me ne vogliate, lettori che lo amano, ma ne parlerò male. Potete anche smettere di leggere qui, non voglio darvi colpi al cuore, però sono riuscito a guardare 15-20 minuti, poi non ce l'ho più fatta. Credo abbia a che fare con la mia tendenza a giustificare chiunque, però nel comportamento di quei genitori non vedo nulla di curioso, strano o peggio, cose per le quali ribellarsi.

Per i non capenti, un tizio si laurea e i genitori gli vogliono comprare una macchina nuova al posto dello scassone giallo tipo alfasud seconda serie che si ritrova. Lui scazza contro la vita conformista dei suoi genitori e parte verso l'Alaska in autostop, nutrendosi di roba selvatica e bruciando i suoi soldi (bruciando davvero, proprio dandogli fuoco) durante il viaggio.

Arrivato lì, poi, si mette a fare cose strane, tipo grida da solo sul tetto dell'autobus, scrive la sua storia col coltello sulle tavole del letto, roba così.

Il fatto che questo pezzo di film mi abbia disgustato e non sia riuscito ad andare avanti lancia dei dubbi sulla mia presunta ispirazione politica. In genere questo è il classico tipo di film per il quale il comunista urla "figata", "vera libertà" o altre cose del genere.

Io, per me, penso che la vera libertà ce l'hai quando effettivamente fai quel che vuoi fare, non c'è certo bisogno di andare contro tutto e tutti e rinchiudersi in un autobus sfasciato in Alaska bruciando soldi.
Forse la libertà, per come la vedo io, è anche quella di rinunciare a vedere un film, cancellarlo, smettere di fare qualcosa.

Dio mio. Sto diventando di centro.

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